Teatro e Critica

Capri-Revolution di Mario Martone. Un link a Monte Verità

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Marinella Guatterini

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17 Gennaio 2019

In concorso alla Mostra del Cinema di Venezia 2018, Capri-Revolution di Mario Martone è arrivato nelle sale a gennaio. Qui proviamo a ricostruire il contesto entro il quale il regista ha reinventato l’esperienza di Monte Verità, fatto storico fondamentale per lo sviluppo della danza moderna.

 

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Capri-Revolution di Mario Martone

Esaltante, riuscito, oppure irrisolto, magnifico nelle riprese, spettacolare ma incomprensibile, eccetera, eccetera. Qualsiasi giudizio si sia già dato o si vorrà dare sul film Capri-Revolution di Mario Martone, ciò che dovrebbe incuriosire quanti amano la danza dell’inizio del Ventesimo secolo e tout court riguarda il fantasioso (ma non troppo) insediamento, quasi allo scoccare della Grande Guerra, di una comune di giovani nordeuropei nell’isola della Grotta Blu. Sono figure ribelli a ogni condizionamento sociale, vegetariane, contrarie alla medicina ufficiale, innamorate dell’elioterapia, del nudismo, della musica, della libertà sessuale, soprattutto della danza e perciò invise alla popolazione arcaica, ma anche ai rifugiati politici del luogo. Immediato il collegamento con la comune danzante fondata, nel 1913, a Monte Verità, dall’ungherese Rudolf von Laban de Varalja, il teorico della danza libera.
Circa a metà della pellicola di Martone lo si cita allorché due comunardi svizzeri si recano all’Ufficio postale di Capri e ricevono una lettera da Ascona, sulla collina di Monescia (soprannominata, appunto, Monte Verità), svelando così un loro collegamento con quella piccola altura dalla speciale energia tellurica e con i suoi illustri ospiti: non solo danzatori o aspiranti tali ma anche teosofi, mistici orientali, occultisti, politici, scienziati, intellettuali, artisti.

La storia vera racconta che, dopo svariati soggiorni didattici ad Ascona – iniziati nel 1909 in compagnia di Mary Wigman, la sua assistente – von Laban decise di trasferire stabilmente, ma solo nei mesi estivi, la propria Scuola di danza e d’arte di Monaco nella “Cooperativa Individualistica” di Monte Verità, già fondata nel 1900 proprio con questo singolare nome dal belga Henry Oedenkoven, da Ida Hofmann, sua consorte e pianista montenegrina, con l’ex ufficiale prussiano Lotte Hattemer e i fratelli transilvani Karl e Gusto Gräser. Tutti aderenti ad un’etica radicalmente primitivista che propagandava parità dei sessi, escapismo anti-urbano, spirito cooperativistico, osservanza di un rigoroso vegetarismo e l’adozione di medicina naturale volta a guarire gli ospiti dai danni della civilizzazione (Zivilisationsschäden).

https://www.teatroecritica.net/wordpress/wp-content/uploads/2019/01/rocaille-blog-Monte-Verità-ascona-lebensreform.jpg  Danze a Monte Verità

Monte Verità come Capri? No. A Capri, vera meta di perseguitati, ribelli fuoriusciti dalla Russia e artisti internazionali, non è mai esistita una comunità danzante come quella di Rudolf von Laban. Eppure, nel film di Martone, l’insediamento di questi osteggiati stranieri ha un senso, oltre a creare quella contrapposizione netta e alla fine fallimentare tra tradizione e suo contrario, in cui si incunea con autonomia e forza davvero ribelle la protagonista Lucia (Marianna Fontana). Inoltre, esistono vere analogie. Chi conosce l’Isola sa, infatti, che la Certosa di San Giacomo ospita i grandi e tenebrosi quadri di Karl Wilhelm Diefenbach (1851-1913), pittore e utopista tedesco dai tratti fisiognomici non dissimili, come del resto la sua complicata vita, da quelli del coprotagonista Seybu (Reinout Scholten van Aschat), quel “diavolo”, come lo definisce la pastorella Lucia, e pittore, a capo della comunità dei “diversi”.

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Karl Wilhelm Diefenbach, Self-Portrait Before Easel, 1895

Prima osannato per la sua arte pittorica e poi maledetto nella città di Monaco di Baviera, dove sposa una filosofia propensa a unire arte e vita, a combattere il militarismo e le contraddizioni della Germania del suo tempo, Diefenbach predica la rinuncia al superfluo, si veste di una lunga tunica fluttuante, a testa nuda, con i sandali ai piedi (esattamente come Seybu nel film). Fa proseliti e viene chiamato pazzo, sobillatore, capace di traviare giovani menti. Nel 1885 Diefenbach lascia Monaco per andare a vivere con la famiglia (moglie e tre figli) in una cava abbandonata, la Steinbruchhaus di Höllriegelskreuth nella valle dell’Isaar. Qui le condizioni di vita sono durissime, ma ne ha giovamento il suo sogno: realizzare un laboratorio artistico in cui condurre una vita pregna del suo credo ormai divenuto teosofico, radicalmente primitivo, vegetariano, nudista.

A quanto si sa, Diefenbach subì il primo processo nella storia per nudismo. Venne condannato per due volte alla prigione, ma laute ammende gli evitarono il carcere. Molte le contraddizioni nella sua esistenza. Nel 1889, a conferma del credito nonostante tutto goduto negli ambienti artistici, fu invitato a tenere una mostra ancora a Monaco, nelle sale della Kunstgewerbehall, riscuotendo successo di pubblico e di critica. Ma un anno dopo, la moglie infastidita dalle difficoltà dell’esistenza a Höllriegelskreuth, tentò di avvelenarlo. Il Seybu di Martone, o chi gli si muove attorno, rivela qua e là questi stessi episodi della vita che fu proprio di Diefenbach, riparato a Capri nel 1900 ove visse isolato per tredici anni producendo molte opere nel suo atelier di via Camerelle, e tuttavia ancora deriso da intellettuali e popolani per il modo di vestire monacale e per le agitate prediche sulla Piazzetta della funicolare. Morì il 13 dicembre 1913 per un attacco di peritonite e la sua opera scivolò nel disconoscimento e nel disprezzo sino alla definitiva riscoperta negli anni Settanta e alla donazione allo Stato italiano, a cura di Friedrich Fridolin von Spaun, figlio di Stella Diefenbach, una dei tre figli del tribolato pittore.

https://www.teatroecritica.net/wordpress/wp-content/uploads/2019/01/capri-revolution-1.jpgMarianna Fontana e in Capri-Revolution di Mario Martone

Si può considerare Diefenbach il principale antesignano del movimento della Lebensreform che si svilupperà nel mondo tedesco alla fine del XIX secolo, indicando una via alternativa alla società capitalista e al materialismo delle organizzazioni di classe dei lavoratori? Probabilmente sì. Ma nella comunità libera e rivoluzionaria, reinventata nel film di Martone, non coesistono solo  bagni di sole, aria e luce, astensione da alcol e tabacco, ginnastica a corpo nudo, riforma dell’abbigliamento e dell’alimentazione, libertà sessuale. L’accento principale è posto sulla danza espressiva, di cui si incarica, per le coreografie, Raffaella Giordano. Il movimento coreutico, qui, come a Monte Verità con von Laban, non è solo reazione all’egemonia della tecnica, dell’industria e dell’urbanizzazione, bensì conferma dell’unità inscindibile di corpo e anima, riscoperta della bellezza estetica del corpo stesso, suo avvaloramento e apoteosi all’interno di una natura incorrotta e purificatrice.

Giordano, assieme a Martone e alla sua co-sceneggiatrice Ippolita Di Majo, non possono che aver soppesato taluni documenti sulla complessa storia di Monte Verità – e pure Le mammelle della Verità, la mostra fotografica curata nel 1978 dal compianto Harald Szeemann, e quella parte del suo archivio, con 975 oggetti, che si configura come una vera e propria Gesamtskustwerk, conservata dal 2007 a Casa Anatta – una delle tante case fatte ricostruire dal Canton Ticino, assieme a un albergo Bauhaus, e infine, a un ristorante vegetariano-vegano, necessario al turismo che aleggia ogni anno attorno a questo luogo magnetico, ormai da tempo dedicato a convegni culturali.

https://www.teatroecritica.net/wordpress/wp-content/uploads/2019/01/575-Senza-titolo-1-680x463_c.jpgDanze ad Ascona

Raffaella Giordano ha però liberamente acceso di un proprio fuoco personale, più estatico e bacchico, le danze di von Laban, invece all’inizio sempre composte e in parte geometriche, molto influenzate dalla teoria euritmica di Émile Jaques-Dalcroze. Oppure gioiosamente libere come quelle di Isadora Duncan (nel 1913 soggiornò brevemente nella colonia svizzera), di certo ispiratrice dei lieti girotondi femminili a corpo nudo di molte adepte labaniane, inebriate dalla natura dei boschi di Ascona. Tuttavia, e qui quasi filologicamente, l’ottima e preparata Giordano deve aver attinto a una delle ultime imprese danzanti di Monte Verità. Nello spettacolo La festa del Sole del 1917, diviso in tre parti (Il sole calante, I demoni della notte e Il sole vittorioso) e di cui esistono testimonianze dirette in molti testi, von Laban (massone praticante, legato al ramo ermetico dell’Ordo templi orientis, il Tempio d’Oriente) dava fondo con l’allievo Otto Borngräber a un rito esoterico e paganeggiante, svoltosi dal tramonto all’alba, molto sentito da alcuni esponenti della comunità.

https://www.teatroecritica.net/wordpress/wp-content/uploads/2019/01/rocaille-blog-Monte-Verità-ascona-lebensreform-3.jpgLebensreform

Rievocandone la parte notturna, quella resa inquietante da sagome mascherate e larve tenebrose di streghe nel sabba infernale dei Demoni della notte, Giordano-Martone inseriscono in Capri-Revolution il rito del sangue fatto bere, dopo l’uccisione di un cervo, a una labile componente del gruppo, da uno psicanalista pazzo, subito cacciato da Seybu per la sua tracotante violenza contro bestie e umani. Nella realtà, tra i tanti psicanalisti che frequentarono Monte Verità come Carl Jung, costui dovrebbe virtualmente coincidere con quell’Otto Gross che, «dopo aver sperimentato di persona ogni sorta di droga, finì internato, per aver facilitato il suicidio di una paziente […], rivendicandone a testa alta il diritto», come scrive Eugenia Casini Ropa nel suo ancora imprescindibile La danza e l’agitprop. I teatri-non-teatrali nella cultura tedesca del primo Novecento (Il Mulino, Bologna , 1988; CuePress, 2014).

https://www.teatroecritica.net/wordpress/wp-content/uploads/2019/01/19.Danza-CAPRI-REVOLUTION-@Mario-Spada-07787.jpgCapri-Revolution di Mario Martone – foto di Mario Spada

Potremmo concludere ricordando la costernazione della pastorella Lucia, ormai emancipata, quando, prima di partire, assiste a una danza organizzata sopra a una tavola e non più inserita nella boscaglia. Il pittore, spiegandone la diversità quasi “teatrale”, introduce il concetto di «codice», di evoluzione, di maturazione necessaria. Cosa che in effetti avvenne davvero, in ambito labaniano, con il tramite dell’allievo Kurt Jooss, padre di un sincretismo tra danza espressiva e accademica, che poi sarà anche della sua stessa allieva Pina Bausch. Tuttavia, la reazione dell’ex-custode di capre Lucia è negativa. Sente la sconfitta dell’utopia della libertà del corpo danzante ancor prima di quella dei fratelli decisi a immolarsi in guerra, ancor prima dell’urlo del pittore Seybu e dei suoi pensieri sulla morte, ancor prima che la terra tremi lasciando cadere quei vasi di coccio, ficcati tra un albero e l’altro della boscaglia, sinonimo, per la comunità quasi labaniana di Capri-Revolution, dell’invincibile stabilità di una rivolta perenne.

Marinella Guatterini

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    Theater und Kritik

    Capri-Revolution von Mario Martone. Eine Verbindung zum Monte Verità

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    Marinella Guatterini

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    17. Januar 2019

    Im Wettbewerb bei den Filmfestspielen von Venedig 2018 kam Mario Martones Capri-Revolution im Januar in die Kinos. Hier versuchen wir, den Kontext zu rekonstruieren, in dem der Regisseur die Erfahrung des Monte Verità neu erfand, eine grundlegende historische Tatsache für die Entwicklung des modernen Tanzes.
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    Capri-Revolution von Mario Martone

    Erhaben, erfolgreich oder ungelöst, großartig im Schießen, spektakulär aber unverständlich, und so weiter und so fort. Wie auch immer das Urteil über den Film Capri-Revolution von Mario Martone bereits gefällt wurde oder noch fallen wird, was diejenigen, die den Tanz des frühen zwanzigsten Jahrhunderts lieben und vor Gericht gehen, faszinieren sollte, betrifft die phantasievolle (aber nicht zu viel) Ansiedlung einer Stadt junger Nordeuropäer auf der Insel der Blauen Grotte, fast bei Ausbruch des Ersten Weltkriegs. Sie sind rebellische Figuren gegen jede soziale Konditionierung, Vegetarier, im Gegensatz zur offiziellen Medizin, verliebt in die Heliotherapie, den Nudismus, die Musik, die sexuelle Freiheit, insbesondere den Tanz, und daher unbesiegbar für die archaische Bevölkerung, aber auch für die politischen Flüchtlinge des Ortes. Unmittelbare Verbindung mit der 1913 von dem Ungarn Rudolf von Laban de Varalja, dem Theoretiker des freien Tanzes, in Monte Verità gegründeten Tanzgemeinde.
    Etwa in der Mitte von Martones Film wird es erwähnt, als zwei Schweizer Kommunarden auf Capri zur Post gehen und einen Brief aus Ascona, auf dem Hügel von Monescia (Spitzname Monte Verità), erhalten und so ihre Verbindung zu diesem kleinen Hügel mit seiner besonderen tellurischen Energie und seinen illustren Gästen offenbaren: nicht nur Tänzer oder angehende Tänzer, sondern auch Theosophen, orientalische Mystiker, Okkultisten, Politiker, Wissenschaftler, Intellektuelle und Künstler.

    Die wahre Geschichte erzählt, dass von Laban nach mehreren Bildungsaufenthalten in Ascona - begonnen 1909 in der Kompanie seiner Assistentin Mary Wigman - beschloss, seine Tanz- und Kunstschule in Monaco dauerhaft, aber nur in den Sommermonaten, in die "Cooperativa Individualistica" auf dem Monte Verità zu verlegen, bereits 1900 unter diesem einzigartigen Namen von dem Belgier Henry Oedenkoven, Ida Hofmann, seiner Frau und Pianistin aus Montenegro, mit der ehemaligen preußischen Offizierin Lotte Hattemer und den siebenbürgischen Brüdern Karl und Gusto Gräser gegründet. Alle hielten an einer radikal primitivistischen Ethik fest, die die Gleichberechtigung der Geschlechter, den anti-urbanen Eskapismus, den kooperativen Geist, die Einhaltung des strikten Vegetarismus und den Einsatz der Naturmedizin zur Heilung der Gäste von den Schäden der Zivilisation (Zivilisationsschäden) propagierte.

    https://www.teatroecritica.net/wordpress/wp-content/uploads/2019/01/rocaille-blog-Monte-Verità-ascona-lebensreform.jpg Tänze auf dem Monte Verità

    Monte Verità wie Capri? Nein. In Capri, einem wahren Ziel für Verfolgte, aus Russland geflohene Rebellen und internationale Künstler, hat es noch nie eine Tanzgemeinschaft wie die von Rudolf von Laban gegeben. Und doch macht in Martones Film die Ansiedlung dieser fremdenfeindlichen Einwanderer Sinn und schafft jenen klaren und letztlich erfolglosen Kontrast zwischen Tradition und ihrem Gegenteil, in dem die Protagonistin Lucia (Marianna Fontana) mit Autonomie und wahrhaft rebellischer Kraft eingekeilt ist. Darüber hinaus gibt es echte Analogien. Diejenigen, die die Insel kennen, wissen in der Tat, dass die Kartause von San Giacomo die großen und düsteren Gemälde von Karl Wilhelm Diefenbach (1851-1913) beherbergt, einem deutschen Maler und Utopisten mit physiognomischen Zügen, die sich, wie sein kompliziertes Leben, denen des Co-Stars Seybu (Reinout Scholten van Aschat) nicht unähnlich sind, jenem "Teufel", wie er von der Schäferin Lucia definiert wird, und Maler, an der Spitze der Gemeinschaft der "Andersartigen".

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    Karl Wilhelm Diefenbach, Selbstbildnis vor der Staffelei, 1895

    Zuerst für seine Bildkunst gefeiert und dann in der Stadt München verflucht, wo er eine Philosophie heiratete, die dazu neigt, Kunst und Leben zu vereinen, den Militarismus und die Widersprüche des Deutschlands seiner Zeit zu bekämpfen, predigt Diefenbach den Verzicht auf das Überflüssige, er trägt eine lange schwebende Tunika, barhäuptig, mit Sandalen an den Füßen (genau wie Seybu im Film). Er bekehrt sich und wird als Verrückter, als Unruhestifter bezeichnet, der in der Lage ist, junge Geister in die Irre zu führen. 1885 verließ Diefenbach München, um mit seiner Familie (Frau und drei Kinder) in einem verlassenen Steinbruch, dem Steinbruchhaus in Höllriegelskreuth im Isaartal, zu leben. Hier sind die Lebensbedingungen sehr hart, aber sein Traum ist seinem Traum zugute gekommen: eine künstlerische Werkstatt zu verwirklichen, in der er ein Leben voller seiner nun theosophischen, radikal primitiven, vegetarischen, nudistischen Überzeugungen führen kann.

    Soweit wir wissen, hat Diefenbach den ersten Prozess in der Geschichte wegen FKK erlitten. Er wurde zweimal zu einer Gefängnisstrafe verurteilt, aber hohe Geldstrafen hinderten ihn daran, ins Gefängnis zu gehen. Es gibt viele Widersprüche in seiner Existenz. Als Bestätigung seines Ansehens in Künstlerkreisen wurde er 1889 erneut zu einer Ausstellung nach München in die Räume des Kunstgewerbehalls eingeladen, die ein Erfolg bei Publikum und Kritikern war. Doch ein Jahr später versuchte seine Frau, verärgert über die Schwierigkeiten der Existenz in Höllriegelskreuth, ihn zu vergiften. Martones Seybu, oder wer auch immer sich um ihn herum bewegt, enthüllt hier und da dieselben Episoden des Lebens, das Diefenbach eigen war, der 1900 auf Capri behütet lebte, wo er dreizehn Jahre lang isoliert lebte und in seinem Atelier in der Via Camerelle viele Werke schuf, und dennoch von Intellektuellen und einfachen Leuten wegen der klösterlichen Kleidung und der aufgeregten Predigten auf der Piazzetta der Seilbahn verspottet wurde. Er starb am 13. Dezember 1913 an einem Anfall von Bauchfellentzündung, und sein Werk verfiel in Verachtung und Verachtung, bis es schließlich in den 1970er Jahren wiederentdeckt und von Friedrich Fridolin von Spaun, Sohn von Stella Diefenbach, einem der drei Söhne des in Schwierigkeiten geratenen Malers, dem italienischen Staat geschenkt wurde.

    https://www.teatroecritica.net/wordpress/wp-content/uploads/2019/01/capri-revolution-1.jpgMarianna Springbrunnen und in Capri-Revolution von Mario Martone

    Kann Diefenbach als der Hauptvorläufer der Lebensreformbewegung angesehen werden, die sich in der deutschen Welt am Ende des 19. Jahrhunderts entwickeln sollte und einen alternativen Weg zur kapitalistischen Gesellschaft und zum Materialismus der Arbeiterklassenorganisationen aufzeigte? Wahrscheinlich, ja. Aber in der freien und revolutionären Gemeinschaft, die in Martones Film neu erfunden wurde, gibt es nicht nur Sonnenbaden, Luft und Licht, Verzicht auf Alkohol und Tabak, Nacktgymnastik, Bekleidungs- und Lebensmittelreform, sexuelle Freiheit. Der Hauptakzent liegt auf dem Ausdruckstanz, für den Raffaella Giordano für die Choreographie verantwortlich ist. Die choreographische Bewegung ist hier, wie in Monte Verità mit von Laban, nicht nur eine Reaktion auf die Hegemonie von Technik, Industrie und Urbanisierung, sondern eine Bestätigung der untrennbaren Einheit von Körper und Seele, eine Wiederentdeckung der ästhetischen Schönheit des Körpers selbst, seine Aufwertung und Apotheose innerhalb einer unbestechlichen und reinigenden Natur.

    Giordano kann zusammen mit Martone und seiner Co-Drehbuchautorin Ippolita Di Majo nur bestimmte Dokumente zur komplexen Geschichte des Monte Verità abgewogen haben - und auch Le mammelle della Verità, die 1978 von dem verstorbenen Harald Szeemann kuratierte Fotoausstellung, und jenen Teil seines Archivs mit 975 Objekten, das als echtes Gesamtkustwerk konfiguriert ist und seit 2007 in der Casa Anatta erhalten ist - eines der vielen Häuser, die der Kanton Tessin wieder aufgebaut hat, zusammen mit einem Bauhaus-Hotel und schließlich einem vegetarisch-veganen Restaurant, das für den Tourismus notwendig ist, der jedes Jahr um diesen magnetischen Ort schwebt, der nun kulturellen Konferenzen gewidmet ist.

    https://www.teatroecritica.net/wordpress/wp-content/uploads/2019/01/575-Senza-titolo-1-680x463_c.jpgDanze in Ascona

    Raffaella Giordano hat jedoch frei ihr eigenes persönliches Feuer entzündet, ekstatischer und bacchischer, von Labans Tänze, stattdessen am Anfang immer komponiert und teilweise geometrisch, sehr beeinflusst von Émile Jaques-Dalcroze's eurythmischer Theorie. Oder freudig frei wie die von Isadora Duncan (1913 hielt sie sich kurz in der Schweizerkolonie auf), sicherlich inspirierend für die glücklichen nackten weiblichen Karussells vieler Laban-Anhänger, berauscht von der Natur der Wälder von Ascona. Allerdings, und hier fast schon philologisch, muss der ausgezeichnete und vorbereitete Giordano auf eine der letzten Tanzleistungen des Monte Verità zurückgegriffen haben. In der Ausstellung Das Sonnenfest von 1917, die in drei Teile gegliedert ist (Die abnehmende Sonne, Die Dämonen der Nacht und Die siegreiche Sonne) und von der es in vielen Texten direkte Zeugnisse gibt, gab von Laban (ein praktizierender Freimaurer, der mit dem hermetischen Zweig des Ordo templi orientis, dem Tempel des Orients, verbunden ist) zusammen mit seinem Schüler Otto Borngräber den Hintergrund eines esoterischen und heidnischen Rituals wieder, das von der Abenddämmerung bis zum Morgengrauen stattfand und von einigen Mitgliedern der Gemeinschaft sehr empfunden wurde.

    https://www.teatroecritica.net/wordpress/wp-content/uploads/2019/01/rocaille-blog-Monte-Verità-ascona-lebensreform-3.jpgLebensreform

    Indem er den nächtlichen Teil heraufbeschwört, der durch maskierte Silhouetten und dunkle Hexenlarven im höllischen Sabbat der Dämonen der Nacht verstörend wirkt, fügt Giordano-Martone in die Capri-Revolution den Ritus des Blutes ein, das nach der Tötung eines Hirsches von einem verrückten Psychoanalytiker, der wegen seiner überwältigenden Gewalt gegen Tiere und Menschen sofort aus Seybu vertrieben wurde, einem schwachen Mitglied der Gruppe zu trinken gegeben wurde. Unter den vielen Psychoanalytikern, die wie Carl Jung auf dem Monte Verità verkehrten, dürfte dieser in Wirklichkeit mit jenem Otto Gross zusammenfallen, der "nachdem er persönlich alle möglichen Drogen erlebt hatte, schließlich interniert wurde, weil er den Selbstmord eines Patienten begünstigt hatte [...] und behauptete, mit hoch erhobenem Kopf die Rechte zu behaupten", wie Eugenia Casini Ropa in ihrem noch immer unverzichtbaren Buch Der Tanz und das Agitprop schreibt. Nicht-Theater in der deutschen Kultur des frühen zwanzigsten Jahrhunderts (Il Mulino, Bologna , 1988; CuePress, 2014).

    @Mario-Spada-07787.jpgCapri-Revolution von Mario Martone - Foto von Mario Spada

    Wir könnten abschließend an die Bestürzung der inzwischen emanzipierten Hirtin Lucia erinnern, als sie vor ihrer Abreise einem Tanz beiwohnt, der auf einem Tisch und nicht mehr im Busch organisiert wird. Der Maler, der die fast "theatralische" Vielfalt erklärt, stellt das Konzept des "Codes", der Evolution, der notwendigen Reifung vor. Tatsächlich geschah dies im labanianischen Kontext mit Hilfe seines Schülers Kurt Jooss, Vater eines Synkretismus zwischen Ausdruckstanz und akademischem Tanz, der später auch von seiner eigenen Schülerin Pina Bausch stammen wird. Die Reaktion der ehemaligen Ziegenhüterin Lucia ist jedoch negativ. Sie spürt die Niederlage der Utopie von der Freiheit des tanzenden Körpers noch vor der der Brüder, die entschlossen sind, sich im Krieg zu opfern, noch vor dem Schrei des Malers Seybu und seinen Gedanken an den Tod, noch bevor die Erde bebt und diese Töpfe aus Ton, die zwischen den Bäumen im Busch stecken, fallen lässt, gleichbedeutend für die fast labanische Gemeinschaft der Capri-Revolution, mit der unbesiegbaren Stabilität einer immerwährenden Revolte.

    Marinella Guatterini

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